Avevo fatto domanda come ragazza alla
pari e mi era stata assegnata una famiglia che viveva poco fuori
Roma, con due bambini di 7 e 9 anni. La casa era grande e bella, la
famiglia gentile. Ero contenta di avere lasciato il mio paese e di
essere in Italia, dove forse avrei potuto rivedere il ragazzo
napoletano con cui avevo avuto un focoso rapporto a Londra, l’anno
precedente.
Avevo abbastanza libertà: l’intero
week-end e due sere la settimana.
Alla mia prima visita a Roma andai
subito alla Fontana di Trevi, dove conobbi Salvatore, un ragazzo
siciliano molto carino, che mi offrì subito un gelato e mi
accompagnò al pullman che mi avrebbe riportato alla casa in cui
vivevo. Chiese e ottenne il mio numero di telefono.
Ci uscii di nuovo al mio primo giorno
di libertà: mi portò a vedere tutta Roma (ci viveva con la famiglia
da due anni) in autobus e a piedi. Aveva 24 anni, io 20.
Alla terza uscita mi chiese se volevo
vedere la sua casa; mi sembrò un po’ troppo veloce, ma accettai.
Ma a sorpresa invece di trovare un appartamento deserto e un letto
pronto come pensavo, trovai la sua famiglia ad accogliermi: padre,
madre sorella e nonna! Rimasi a cena e mi invitarono per la domenica
successiva: cominciavo a sentirmi un po’ “incastrata”. Per
fortuna l’atteggiamento di Salvatore mentre mi accompagnava al bus,
passando per Villa Borghese, mi aiutò a staccarmi: si fermò in un
luogo isolato e pieno di alberi e li mi baciò. Lasciai fare, ma ben
presto la sua mano cominciò ad insinuarsi nella mia camicetta,
slacciando i primi due bottoni e arrivando al reggiseno. Quando mi
trovai le sue dita sui capezzoli lo fermai delicatamente e gli dissi
di stare calmo, che era ancora presto. Ci rimase male ma accettò. La
domenica trovai una scusa e non andai al pranzo con la famiglia. In
realtà speravo di trovare di meglio di uno studente fuori corso,
anche se carino.
L’occasione venne pochi giorni dopo:
ero in Italia da un mese esatto quando fui invitata alla festa di un
amico della mia famiglia italiana, un ragazzo di 24 anni, laureando
in Medicina, che aveva organizzato un party per single, cioè
potevano partecipare solo persone che non erano già accoppiate.
L’età dei partecipanti andava dai miei 20 ai 29 di un giovane
ingegnere. Il problema era la lingua: oltre al tedesco, la mia madre
lingua, parlavo bene l’inglese, ma lì solo due ragazzi riuscivano
ad esprimersi in quella lingua, e di questi solo uno mi piaceva.
Puntai quindi su di lui: 25 anni, romano, laureato in Medicina e con
un’ottima padronanza dell’inglese (aveva vissuto negli USA per un
anno).
Purtroppo lui puntava su una ragazza
americana obiettivamente molto carina, bruna con capelli ricci e
occhi azzurri, mentre io, anche se alta, ero magra con capelli
castani molto corti, sembravo un po’ un ragazzo. Fu il destino a
decidere, quella sera: alla fine della festa la zona nord di Roma era
immersa in una nebbia fittissima e il giovane medico, che qui
chiamerò Stefano, si offrì di riaccompagnarmi alla casa in cui
vivevo con la sua vecchia Volkswagen maggiolino color grigio scuro.
Arrivammo al paese 30 km. fuori città
a passo d’uomo perché la nebbia era veramente fitta. La famiglia
era fuori per il week end e la casa era vuota. Pur stando lì solo da
un mese pensai di potermi permettere di invitare Stefano a salire,
avevo paura che avesse un incidente tornando a Roma.
A casa siamo andati nella mia stanzetta
e lui mi ha subito baciata. Ho ricambiato, perché mi piaceva molto,
era gentile e un po’ timido. Ho aspettato a lungo che facesse da
solo qualche progresso e quando finalmente mi ha messo una mano sul
seno attraverso i vestiti, mi sono tolta la camicia e gli ho fatto
capire che poteva andare avanti. Appena mi ha tolto il reggiseno è
rimasto a bocca aperta, cosa a cui ero abituata: con tutti vestiti
addosso non sembravo particolarmente sexy, ma delle mie tette vado
orgogliosa, una terza misura di reggiseno, allora, belle erette con
capezzoli dalle larghe areole che erano a quel punto già turgidi.
Cominciò a leccarmi le tette e i
capezzoli come fossero un gelato, non era molto esperto, si capiva. A
questo punto gli misi la mano sull’inguine, sentendo che, come
pensavo, il suo uccello era già in erezione. Allora gli aprii la
cintura, gli sbottonai i calzoni e tirai un po’ giù lo slip,
facendo schizzare il suo cazzo in su come una molla.
Glielo presi in mano e cominciai a
masturbarlo molto lentamente, aumentando il ritmo mano a mano che
sentivo il suo respiro divenire più affannoso. Quando venne gli
tenni l’uccello stretto con la mano per farlo spruzzare più
lontano. Era al settimo cielo, e pensai che per esserci conosciuti
poche ore prima poteva essere soddisfatto.
Erano intanto le tre di mattina, e la
nebbia non accennava a diradarsi. Rimanemmo quindi ancora un paio
d’ore sul mio letto fra petting e riposo.
Alle sei con le prime luci dell’alba
la visibilità era migliorata e decise di muoversi. Mi assicurai
strofinandogli l’inguine che fosse di nuovo recettivo e quando ne
ebbi la conferma gli tirai di nuovo fuori l’uccello e lo feci
venire, ancora con le mani. Apprezzò molto e partì contento.
Ci rivedemmo tre giorni dopo a Roma,
dove mi venne a prendere all’uscita della mia lezione di Italiano
alla Dante Alighieri di Via Firenze.
Tornando verso la mia casa si fermò in
luogo tranquillo e mi baciò subito. Ero un po’ in ritardo e anche
qui la cosa finì con una sega in macchina.
Il passo avanti fu fatto il sabato
della settimana dopo, quando ero di nuovo sola a casa per il
week-end. Mi disse che aveva un impegno al teatro ma che sarebbe
stato libero per le 23. Gli dissi di venire quando voleva.
Arrivò a mezzanotte meno dieci, e
ammise candidamente che era stato al teatro con la ragazza americana
conosciuta alla stessa festa a cui aveva conosciuto me! Il
disgraziato!
Per un attimo pensai di mandarlo via,
ma non sapevo quanto ci sarebbe voluto a ricominciare tutto da capo.
Quindi mi impegnai a essere la più desiderata fra le due.
Nella mia camera mi spogliai subito
completamente nuda, e di nuovo vidi l’effetto afrodisiaco che il
mio corpo gli provocò.
Scopammo subito, con poca preparazione
perché ero gia bagnata. Quando mi fu dentro vidi che era bravino, e
mi fece sentire bene le discrete dimensioni del suo membro, nello
spingere con forza dentro di me. Venne abbastanza presto, io già
prendevo la pillola da due anni, quindi non c’erano problemi, e
glielo avevo detto subito. Fu bello, tutto sommato, capii che
nonostante la differenza di età era meno esperto di me, ma ciò era
carino, in fondo.
Rimase tutta la notte e scopammo di
nuovo ma senza variazioni sul tema, era ancora presto.
Poi la mattina a Roma romantica
passeggiata a Villa Borghese e poi a casa sua, una bella casa in zona
residenziale. Anche la sua famiglia era fuori e quindi giocando in
casa mi scopò di nuovo sul suo letto: stavolta gli feci provare
l’esperienza di stare sotto, fui io a infilarmi sul suo cazzo
eretto e a menare le danze muovendo il mio bacino su e giù e
mandandolo in estasi. Venne dentro di me presto, ma continuai a
muovermi finché ebbi anche io l’orgasmo, e fu molto piacevole.
Gli feci provare le gioie del sesso a
poco a poco. Il primo pompino glielo feci in uno sgabuzzino di casa
sua, mentre i suoi erano in salotto e si sentivano le voci.
Mentre gli succhiavo l’uccello era
eccitatissimo e allo stesso tempo preoccupato che arrivasse qualcuno,
fu molto divertente. In quel caso niente ingoio, ma avevo pronti dei
kleenex.
Il nostro rapporto proseguì per anni
ma solo quando mi portò a vivere con lui lasciando la casa paterna
gli concessi il culo. Ma questa è un’altra storia…
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