giovedì 17 marzo 2016

La Punizione


La punizione

Dopo qualche mese in cui i nostri rapporti sessuali avevano avuto un’impennata, grazie all’eccitazione provocata dalle lievi sculacciate con la racchetta da ping pong o con le mani nude dopo i racconti di particolari intimi della storia di mia moglie con l’amante (pratica sempre seguita da qualche forma di rapporto sessuale, più spesso anale od orale), la routine e la noia tornarono nella nostra vita.

Quando tornai da un viaggio di quattro giorni in Francia per un congresso notai subito i segnali di qualcosa che non andava: il lungo rapporto con il mio ex-amico di una anno prima mi era servito da lezione ed ero molto più pronto a cogliere indizi e sospetti.

Notai che mia moglie si depilava le gambe e il pube alla radice della cosce ogni due giorni, cosa insolita (di solito lo faceva una volta la settimana al massimo); che indossava la gonna quasi ogni giorno, lei che era sempre stata una patita dei jeans, affermando che erano molto più facili da gestire; fra l’altro gonne quasi sempre al ginocchio o qualche dito sopra, cosa non adattissima a una quarantasettenne, anche se ne dimostrava almeno 10 di meno ed aveva gambe stupende.

Fra la biancheria stesa notai che avevano fatto la loro ricomparsa i perizomi, che normalmente indossava solo con qualche pantalone particolarmente attillato.

Insomma, alzai le antenne e quando qualche giorno dopo mi disse che sarebbe stata in giro a fare shopping tutto il giorno e che ci saremmo rivisti a cena, andai al lavoro, ma mi feci prestare il motorino e il casco integrale da uno dei miei dipendenti e tornai vicino a casa nostra per iniziare la sorveglianza.

Non ci volle molto, a mezzogiorno circa uscì in macchina e la seguii fino al centro. Lasciò l’auto al parcheggio di Villa Borghese e uscì a piedi. Vidi che indossava un abito con gonna larga al ginocchio a scarpe con tacchi medi: evidentemente non voleva dare troppo nell’occhio. Naturalmente occhiali da sole enormi tipo diva del cinema.

Arrivata a Via Veneto la vidi guardarsi intorno finché fece un saluto con la mano e salì su un’Alfa 157 nera, con vetri oscurati. Grazie al motorino riuscii a seguire l’auto fino ad un ristorante del quartiere africano dove parcheggiò con due ruote sul marciapiedi e vidi uscire dal lato del guidatore un bell’uomo, di media altezza, con capelli lunghi scuri, occhiali da sole anche lui, sicuramente sotto i 40 anni. Aiutò mia moglie a scendere ed entrarono nel ristorante.

Entrai in un bar di fronte al locale, mi tolsi il casco e mi sedetti a un tavolo interno ma da cui si vedeva l’ingresso del ristorante. Aspettai un ora e mezza circa, poi uscirono e salirono in auto. Non fecero molta strada: dopo poco più di un chilometro l’Alfa entrò in un garage e dopo pochi minuti uscirono a piedi. Li vidi entrare in un albergo della zona, a due stelle (che squallore, mia moglie è sempre stata abituata al massimo, hotel 5 stelle e resort di lusso).

Qui capii che l’attesa sarebbe stata più lunga, ma ormai ero in ballo. Mi appostai col motorino un centinaio di metri più su dell’albergo, mi misi un berretto da baseball con la visiera e comprai un giornale. Per quando uscirono avevo letto anche la pagina di cultura e gli annunci mortuari… Erano passate almeno due ore e mezza. Nel tragitto verso la macchina lui le teneva il braccio attorno alla vita e lei lasciava fare.

Usciti dal garage si diressero subito verso il parcheggio coperto di Villa Borghese dove mia moglie aveva lasciato l’auto. Una volta entrata, però, l’auto si diresse verso una zona isolata del parcheggio. Fermai il motorino a una certa distanza a mi avvicinai con circospezione. Vidi solo la testa di lui e quando dopo qualche minuto comparve nel lunotto posteriore quella di mia moglie proveniente dal basso capii che gli aveva fatto il pompino dell’arrivederci. L’auto ripartì e accostò alla macchina di mia moglie che scese. Un bacio dal finestrino al guidatore, un saluto con la mano e via.

Tornai a casa dopo avere lasciato il motorino al proprietario ed avere ripreso la mia auto. Lei era già tornata ed era ovviamente sotto la doccia.

Quando tornò in stanza da letto con l’accappatoio indosso e un asciugamano avvolto attorno ai capelli mi trovò seduto sul letto con in mano il famoso scudiscio proveniente dal Marocco, quello che mi aveva pregato di non usare in occasione della sua prima punizione.

Solo per una attimo provò a fare la faccia sorpresa, ma appena dissi: “Non provarci nemmeno, so tutto!” si inginocchiò davanti a me e con tono implorante disse: “Non è niente per me, è una cosa solo fisica, un occasione con uno più giovane che chissà quando mi ricapiterà. Ma è una storia senza seguito, non lo vedrò mai più. E’ stato lui a sedurmi e non ho saputo resistere”.

“Se è una cosa solo fisica anche la tua punizione sarà fisica, ma ti assicuro che ti passerà la voglia di mettermi le corna. Levati quell’accappatoio e sdraiati sul letto!”

“No, ti prego, non con quello. Fa male e lascia i segni. Usa la cintura, se vuoi, ma non lo scudiscio” implorò.

“Ti devono rimanere i segni così ti ricorderai che troia sei e non potrai mostrarti nuda agli altri per un bel po’ di tempo” risposi implacabile. “Altrimenti vattene subito, ma poi non mi cercare mai più”.

Cedette, si tolse l’accappatoio e si distese nuda sul letto, a pancia sotto. Le misi un cuscino sotto la pancia per alzare il sedere e diedi subito il primo colpo di scudiscio: uno schiocco poderoso si udì nella stanza, seguito immediatamente da un grido di dolore. Una lunga striscia rossa apparve sul suo culo, a cavallo di entrambe le natiche. Mentre davo il secondo colpo chiesi: “Te lo ha messo anche qui? E quante volte?”.

“No, no, nel culo mai. Ci vediamo da poco”. “Abbastanza per i pompini in macchina, però”. Si girò a guardarmi: “Mi hai seguita? Sei uno stronzo e un pervertito”.

Questo le costò altri quattro forti colpi di scudiscio sul sedere. Quando arrivai a 10 e i suoi urli di dolore erano assordanti mi fermai e la guardai. Le dieci strisce rosse cominciavano a essere rilevate e formavano una ragnatela sul suo culo che sapevo sarebbe stata visibile per parecchio tempo.

“OK, ora basta. Ti lascio il tempo di pensarci sopra” dissi. Non avevo neanche voglia di scoparla ora, nonostante la mia erezione fosse quasi dolorosa.

Andai in salotto e mi sedetti davanti al televisore.

“Quanto potrò andare avanti così” mi domandai. “Questa è troia nell’anima, quando cambierà?”

Poi arrivò lei, con un paio di calzoncini da tennis a coprirle il sedere pieno dei segni delle scudisciate e nient’altro indosso, con le tette di fuori. Si inginocchiò davanti a me e mentre chiedeva scusa mi tirò fuori l’uccello e cominciò a succhiarlo finché non venni nella sua bocca. Inghiotti il mio sperma e chiese:”Mi perdoni allora?”.

Credo di avere detto di sì, perché ancora viviamo insieme nonostante tutto…

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