La punizione
Dopo qualche mese in cui i nostri
rapporti sessuali avevano avuto un’impennata, grazie
all’eccitazione provocata dalle lievi sculacciate con la racchetta
da ping pong o con le mani nude dopo i racconti di particolari intimi
della storia di mia moglie con l’amante (pratica sempre seguita da
qualche forma di rapporto sessuale, più spesso anale od orale), la
routine e la noia tornarono nella nostra vita.
Quando tornai da un viaggio di quattro
giorni in Francia per un congresso notai subito i segnali di qualcosa
che non andava: il lungo rapporto con il mio ex-amico di una anno
prima mi era servito da lezione ed ero molto più pronto a cogliere
indizi e sospetti.
Notai che mia moglie si depilava le
gambe e il pube alla radice della cosce ogni due giorni, cosa
insolita (di solito lo faceva una volta la settimana al massimo); che
indossava la gonna quasi ogni giorno, lei che era sempre stata una
patita dei jeans, affermando che erano molto più facili da gestire;
fra l’altro gonne quasi sempre al ginocchio o qualche dito sopra,
cosa non adattissima a una quarantasettenne, anche se ne dimostrava
almeno 10 di meno ed aveva gambe stupende.
Fra la biancheria stesa notai che
avevano fatto la loro ricomparsa i perizomi, che normalmente
indossava solo con qualche pantalone particolarmente attillato.
Insomma, alzai le antenne e quando
qualche giorno dopo mi disse che sarebbe stata in giro a fare
shopping tutto il giorno e che ci saremmo rivisti a cena, andai al
lavoro, ma mi feci prestare il motorino e il casco integrale da uno
dei miei dipendenti e tornai vicino a casa nostra per iniziare la
sorveglianza.
Non ci volle molto, a mezzogiorno circa
uscì in macchina e la seguii fino al centro. Lasciò l’auto al
parcheggio di Villa Borghese e uscì a piedi. Vidi che indossava un
abito con gonna larga al ginocchio a scarpe con tacchi medi:
evidentemente non voleva dare troppo nell’occhio. Naturalmente
occhiali da sole enormi tipo diva del cinema.
Arrivata a Via Veneto la vidi guardarsi
intorno finché fece un saluto con la mano e salì su un’Alfa 157
nera, con vetri oscurati. Grazie al motorino riuscii a seguire l’auto
fino ad un ristorante del quartiere africano dove parcheggiò con due
ruote sul marciapiedi e vidi uscire dal lato del guidatore un
bell’uomo, di media altezza, con capelli lunghi scuri, occhiali da
sole anche lui, sicuramente sotto i 40 anni. Aiutò mia moglie a
scendere ed entrarono nel ristorante.
Entrai in un bar di fronte al locale,
mi tolsi il casco e mi sedetti a un tavolo interno ma da cui si
vedeva l’ingresso del ristorante. Aspettai un ora e mezza circa,
poi uscirono e salirono in auto. Non fecero molta strada: dopo poco
più di un chilometro l’Alfa entrò in un garage e dopo pochi
minuti uscirono a piedi. Li vidi entrare in un albergo della zona, a
due stelle (che squallore, mia moglie è sempre stata abituata al
massimo, hotel 5 stelle e resort di lusso).
Qui capii che l’attesa sarebbe stata
più lunga, ma ormai ero in ballo. Mi appostai col motorino un
centinaio di metri più su dell’albergo, mi misi un berretto da
baseball con la visiera e comprai un giornale. Per quando uscirono
avevo letto anche la pagina di cultura e gli annunci mortuari…
Erano passate almeno due ore e mezza. Nel tragitto verso la macchina
lui le teneva il braccio attorno alla vita e lei lasciava fare.
Usciti dal garage si diressero subito
verso il parcheggio coperto di Villa Borghese dove mia moglie aveva
lasciato l’auto. Una volta entrata, però, l’auto si diresse
verso una zona isolata del parcheggio. Fermai il motorino a una certa
distanza a mi avvicinai con circospezione. Vidi solo la testa di lui
e quando dopo qualche minuto comparve nel lunotto posteriore quella
di mia moglie proveniente dal basso capii che gli aveva fatto il
pompino dell’arrivederci. L’auto ripartì e accostò alla
macchina di mia moglie che scese. Un bacio dal finestrino al
guidatore, un saluto con la mano e via.
Tornai a casa dopo avere lasciato il
motorino al proprietario ed avere ripreso la mia auto. Lei era già
tornata ed era ovviamente sotto la doccia.
Quando tornò in stanza da letto con
l’accappatoio indosso e un asciugamano avvolto attorno ai capelli
mi trovò seduto sul letto con in mano il famoso scudiscio
proveniente dal Marocco, quello che mi aveva pregato di non usare in
occasione della sua prima punizione.
Solo per una attimo provò a fare la
faccia sorpresa, ma appena dissi: “Non provarci nemmeno, so tutto!”
si inginocchiò davanti a me e con tono implorante disse: “Non è
niente per me, è una cosa solo fisica, un occasione con uno più
giovane che chissà quando mi ricapiterà. Ma è una storia senza
seguito, non lo vedrò mai più. E’ stato lui a sedurmi e non ho
saputo resistere”.
“Se è una cosa solo fisica anche la
tua punizione sarà fisica, ma ti assicuro che ti passerà la voglia
di mettermi le corna. Levati quell’accappatoio e sdraiati sul
letto!”
“No, ti prego, non con quello. Fa
male e lascia i segni. Usa la cintura, se vuoi, ma non lo scudiscio”
implorò.
“Ti devono rimanere i segni così ti
ricorderai che troia sei e non potrai mostrarti nuda agli altri per
un bel po’ di tempo” risposi implacabile. “Altrimenti vattene
subito, ma poi non mi cercare mai più”.
Cedette, si tolse l’accappatoio e si
distese nuda sul letto, a pancia sotto. Le misi un cuscino sotto la
pancia per alzare il sedere e diedi subito il primo colpo di
scudiscio: uno schiocco poderoso si udì nella stanza, seguito
immediatamente da un grido di dolore. Una lunga striscia rossa
apparve sul suo culo, a cavallo di entrambe le natiche. Mentre davo
il secondo colpo chiesi: “Te lo ha messo anche qui? E quante
volte?”.
“No, no, nel culo mai. Ci vediamo da
poco”. “Abbastanza per i pompini in macchina, però”. Si girò
a guardarmi: “Mi hai seguita? Sei uno stronzo e un pervertito”.
Questo le costò altri quattro forti
colpi di scudiscio sul sedere. Quando arrivai a 10 e i suoi urli di
dolore erano assordanti mi fermai e la guardai. Le dieci strisce
rosse cominciavano a essere rilevate e formavano una ragnatela sul
suo culo che sapevo sarebbe stata visibile per parecchio tempo.
“OK, ora basta. Ti lascio il tempo di
pensarci sopra” dissi. Non avevo neanche voglia di scoparla ora,
nonostante la mia erezione fosse quasi dolorosa.
Andai in salotto e mi sedetti davanti
al televisore.
“Quanto potrò andare avanti così”
mi domandai. “Questa è troia nell’anima, quando cambierà?”
Poi arrivò lei, con un paio di
calzoncini da tennis a coprirle il sedere pieno dei segni delle
scudisciate e nient’altro indosso, con le tette di fuori. Si
inginocchiò davanti a me e mentre chiedeva scusa mi tirò fuori
l’uccello e cominciò a succhiarlo finché non venni nella sua
bocca. Inghiotti il mio sperma e chiese:”Mi perdoni allora?”.
Credo di avere detto di sì, perché
ancora viviamo insieme nonostante tutto…
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