Ero sola quella sera, nessuno mi aveva
accompagnata.
Ballo, mi sfreno.
Un ragazzo simile a Big Jim cominciò
anonimamente a ballare con me e man mano che i nostri corpi aderivano
la musica si faceva più prepotente. I nostri movimenti erano scarsi
di grazia e coordinazione ma poco importava. Sentivo le sue mani
avide correre sulla mia schiena, sui miei fianchi, in un movimento
quasi rabbioso mi strinse i glutei. Con uno spintone allontanai
quell’individuo da me e continuai a ballare dimenticando presto
quell’insignificante episodio.
Ballai con una ragazza e con lei mi
divertì parecchio.
Puzzava tremendamente di alcol ma non
potevo lamentarmi: non era molto diversa da me in quel momento.
I movimenti del mio corpo stavolta
erano in perfetta sintonia con i suoi e più volte ho allontanato le
sue labbra delle mie prima di abbandonarmi a quel frenetico
inseguimento di lingue così divertente e così eccitante.
Bevemmo vari cocktail dopodiché mi
trascinò in bagno ma non per vomitare come già molti facevano in
quei cessi infatti cominciò a spogliarsi cercando di attirare il più
possibile la mia già scarsa attenzione. Dopo pochi minuti mi
allontanai dai bagni con una scusa e senza nessun rimorso lasciai che
capisse da sola che non sarei tornata da lei.
Ballai ancora. Rimasi sola nella mia
danza per qualche secondo dopodiché sentì l’erezione del
fantastico moro premere dietro di me. Si materializzò nella mia
mente il desiderio che quel ragazzo così bello e così prepotente mi
scopasse violentemente all’istante sul bancone, tra e bottiglie di
alcolici e gli ombrellini per i cocktail. Ballammo in quella
posizione per un po’ di tempo, lui dietro ed io avanti e a tratti
temetti che quel pezzo di carne potesse penetrarmi nello stesso
istante in cui il suo bacino eseguì quel movimento così esplicito e
volgare. Ora mi domando, Davvero ebbi paura che accadesse ciò?.
Le sue mani non si muovevano dai miei
fianchi. Mi tenevano vicina a lui lasciandomi però la libertà di
muovermi come volevo.
Ballai per il resto della serata con
lui, cosa alquanto strana poiché in serate come quella odio passare
più di 10 minuti con la stessa persona.
Aveva l’aria di chi ha soldi e non ha
paura di spenderli: Mi portò nel privè senza che io me ne
accorgessi.
Mi sentì una regina nel chiedere e
ricevere tutto ciò che volevo e sentirmi avidamente guardata da
quegli occhi grigi e calamitati non faceva altro che catapultarmi in
una situazione ultraterrena. Mi piaceva farmi toccare da quelle mani
che cercavano di assumere un atteggiamento dolce e premuroso ma mi
piaceva ancor di più provocare il ragazzo e avvertire che la sua
eccitazione aumentava semplicemente sentendo il suo respiro. Da quel
privè uscì sorprendentemente inviolata. Il nostro gioco doveva
continuare fuori dal locale.
Mi finsi offesa e, senza voltarmi uscì
sulla strada lasciandolo nel caos da discoteca. Dopo pochi secondi
sentì dei passi calpestare il suolo bagnato ma non pioveva più. Mi
accertai che mi avesse vista e mi infilai in uno stretto vialetto. In
quel momento l’incoscienza prese la meglio.
“Che fai, scappi?” Mi domandò la
voce un po’ roca.
“Chi ti dice che scappo? E se invece
stessi cercando qualcosa?”
“Qualcosa tipo questo?” Domandò
ancora, stavolta stringendomi il polso e tirando la mia mano sul
cavallo dei suoi jeans.
In quel momento mi accorsi di essere
caduta in una grandissima confusione: Il ragazzo che ora mi teneva la
mano sul suo cazzo non era il moro del privè.
Provai ad immaginare cosa sarebbe
successo se avessi opposto resistenza.
Probabilmente nulla poiché mi sarebbe
bastato gridare e il buttafuori avrebbe sentito le mie urla ma
avvertivo un calore salirmi dal basso ventre…
Sarebbe stato un gioco perverso e anche
rischioso ma volevo pensare che il pericolo mi esonerasse dai suoi
progetti in quella sera.
Cercai di tirare via la mia mano da lì
ma la sua stretta insisteva sul mio polso e con un ghigno che per
poco non mi fece cambiare idea il ragazzo sussurrò: “Ho forse
sbagliato? Non era ciò che cercavi?”
Era bello, non lo si poteva negare e
quel modo così brusco mi eccitava da morire. Quella sera non ero più
io. Probabilmente l’altra me non avrebbe desiderato altro che stare
nel letto tra le braccia di una persona gentile e delicata ma quella
me in quel momento si era presa una pausa. Di riflessione, forse.
“Stronzo, lasciami” Gli dissi.
“Se davvero vuoi che ti lasci qui
sola soletta a massaggiarti la figa, urla.”
Aveva capito.
“Lasciami” Gli ripetei, abbassando
di una tonalità la voce.
Sorrise. “Posso farlo io.”
Con una mano mi bloccò in alto le
braccia e con tutto il suo corpo mi immobilizzò al muro mentre con
la mano libera scostò la minigonna che mi copriva l’intimo.
Cominciò a toccarmi senza scostare però gli slip e vari gemiti di
piacere mi scapparono mentre continuavo a recitare male la parte
della non-consenziente.
“Ti piace eh?” Domandò divertito.
“Togliti di dosso! …Ahh!”
“Smettila di recitare puttana! So che
ti piace…sento già ora che sei tutta bagnata”
Provai ancora una volta a sottrarmi a
quella “violenza”.
“Ti ho detto di smettere se non vuoi
che ti sfondi! Mi eccita un casino, cazzo!”
Mi scappò un sorriso malizioso che lui
molto probabilmente non notò.
Chiusi le gambe cercando di respingere
quella mano che sapeva benissimo cosa stimola il piacere di una donna
ed ottenni l’effetto desiderato.
“Mi hai rotto le palle!” Esclamò.
Mi strappò letteralmente gli slip e
cominciò abilmente a sfregare il clitoride già turgido.
Continuavo a opporre un’inutile
resistenza godendo al massimo di quelle nuove e pericolose
sensazioni.
Con un gesto poco galante mi fece
inginocchiare davanti a lui e tenendomi per i capelli, senza farmi
male però, mi ordinò di prenderlo in bocca.
Era estremamente invitante obbedire a
quell’ordine ma volevo che fosse ben carico. Gli sputai sulla
maglietta.
Senza troppe cerimonie si calò i
pantaloni e mi schiacciò il viso verso quella rigidità: aveva un
buon profumo.
Con una mano sfoderò il cazzo
straordinariamente eretto dai boxer e me lo sfregò sulle guance.
“Così sottomessa hai proprio
l’espressione da puttana.” Disse.
“Trattami da tale allora,pezzo di
merda! Sei solo chiacchiere!”
Era vero. Mi stavo comportando da
puttana in quel momento ma a volte è bello assumere ruoli che non ci
appartengono. Mentre pensavo ciò cominciai a succhiargli i testicoli
perfettamente depilati e a leccargli la base dell’asta prima di
succhiargli avidamente il cazzone.
“Sapevo che ti piaceva…che troia
che sei…”
Succhiai quanto più potevo mentre la
mano di lui muoveva velocemente la mia testa avanti e indietro. Non
riuscivo a prenderlo tutto senza che mi venissero gli sforzi di
vomito: era davvero enorme.
Godeva…godeva come un maiale…lo
sentivo...
Lo sentivo da come stringeva nel pugno
i miei capelli e da come cercasse di farmi entrare più carne
possibile in bocca.
Non ce la facevo più, mi faceva male
la mascella e diminuì la foga.
“Sei già stanca troietta?”
Domandò, menandoselo animalescamente.
“’Fanculo!”
Mi spinse violentemente per terra e
cercò di mettermi a pecora ma mi opposi, sarebbe stato ancora più
eccitante. Lo sentì imprecare.
Lui riuscì a farmi piegare senza
troppo sforzi e, mantenendo la mia testa più bassa rispetto al mio
sedere, spinse con estrema foga il suo pene nel mio essere. Sentì un
dolore nuovo. Mai avevo subito una penetrazione così violenta. Mi
scapparono più gridolini di sofferenza mentre quell’animale
entrava e usciva dal mio corpo senza il minimo rispetto. Era talmente
sottile la barriera che divideva il dolore dal piacere che nemmeno io
sapevo se mi stesse piacendo o meno.
Continuava a spingere il suo cazzo
dentro me tenendomi per i fianchi come se fossi un giocattolo.
“Non c’entra tutto!” Mi uscì
dalla gola.
“Allora vediamo se nel tuo bel
culetto c’è più spazio…”.
Violò con un dito il mio ano ancora
vergine e ci sputò dentro. Con le dita mi allargò il buco: ne
infilò due, poi tre. Sussultavo, gemevo: mi piaceva.
Smise di usare le mani e sentì
improvvisamente un bruciore assurdo. Cominciò a cavalcarmi da dietro
e non potei far altro che abbandonarmi al piacere.
Riuscivo a immaginare cosa stesse
accadendo dentro di me basandomi su gli stimoli che percepiva il mio
cervello quando venivano urtate le pareti interne.
“Mi fai male!” Urlai ad un certo
punto: stava esagerando.
Lui era ubriaco e avevo sbagliato io,
se mi trovavo in quella situazione era solo per colpa mia. Urlare non
mi sarebbe servito a nulla perché ci eravamo allontanati
dall'ingresso.
Decisi dunque di assecondare ogni sua
perversione e quei momenti furono interminabili. Il mio culo era a
pezzi, mi faceva male come mai prima d'allora ma lui non sembrava
volesse smettere di sbattere dentro di me il suo arnese. Cercavo di
sottrarmi a quella ormai divenuta violenza a tutti gli effetti ma non
ci riuscì: mi teneva saldamente per i fianchi quasi come fossi un
animale.
Sentì cedere le ginocchia crollai. Per
qualche minuto quell'asfalto sembrò così confortevole... non
sentivo più niente... chiusi gli occhi e... buio.
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